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Riflessioni presso la sorgente del Torano. Quarant’anni dopo.

 

La valle profonda,

alla vista velata

appare nebbiosa.

Le “rupi austere”

s’impongono enormi,

schiacciano i corpi,

comprimono

ogni slancio,

e reprimono

ogni fantasia.

 

Il silenzio,

oppressivo,

permette un bisbiglio,

appena un fruscio

di acqua ai miei piedi,

e in alto, fra le rupi,

pochi trilli, a scatti:

quel che resta di vita

nel regno della morte.

 

Terriccio biancastro,

innanzi alla grotta

scura e vuota,

dove nascevano

“eterno murmure” e spume,

non parla al ramingo

che passa,

che guarda

senza fissare,

che sente

senza ascoltare.

 

La forza dell’acqua,

ammirata da giovane,

vestiva fantasmi

nati nell’inconscio,

nutriti da passioni.

Ne sorgevano, rosei,

miti affascinanti…

Non c’è più acqua ma pietre,

e da pietre non nascono

visioni né palpiti…

Vedendole inerti

si tocca con mano la fine che incombe!

 

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